Tutte le facce del Movimento Sociale Italiano

Nel libro di Annalisa Terranova le anime del partito che unificò la Destra. L’altro MSI. I leader mancati per una destra differente

L'altro MSI
L’altro MSI. I leader mancati per una destra differente», prefazione di Antonio Carioti, Giubilei Regnani Editore, pp. 169, euro 15

Come è noto, l’imperativo morale e politico del Movimento Sociale Italiano, nato nel dicembre del 1946 su iniziativa di un gruppo di ex che avevano intensamente vissuto l’esperienza di Salò, si condensava nella massima «non rinnegare, non restaurare».

Una consegna di lotta cui nessuno intendeva venir meno: e, in particolare, era quel «non rinnegare» a tener serrate le file. Quanto al «non restaurare», è chiaro che nemmeno il più appassionato dei nostalgici poteva figurarsi un ritorno del Fascismo. L’esperienza storica era improponibile e anche l’ultima trincea «repubblicana» e «socialista» aveva più i tratti del mito d’azione che quello della prospettiva politica. Perché era appunto con la politica che bisognava fare i conti. Innanzitutto il MSI era di destra, di sinistra o al di là della destra e della sinistra?

Anche se Annalisa Terranova nella sua meditata e documentata «ricognizione», non si pone l’interrogativo in questi termini, ci sembra che i «leader mancati» di cui traccia il profilo abbiano in comune il tentativo di dare a queste domande una risposta che si traducesse in visione e azione politica.

Insomma, «un altro MSI», possibile o impossibile, è esistito, al di là di quello che ebbe maggiore visibilità: la Fiamma guidata dal carismatico Giorgio Almirante, il «leader» che, tra neofascismo e postfascismo, dominò e predominò. Finché non lasciò le insegne del comando a Gianfranco Fini. E cioè al designato erede che ventun anni fa, con il varo di Alleanza Nazionale, decise di uscire dalla «casa del padre», ponendo la parola fine all’esperienza del MSI e inaugurando la serie degli «strappi» col passato.

Il fatto è che, «di strappo in strappo», Fini – che pure ha goduto di un carisma non inferiore a quello di Almirante, di un bacino elettorale che era il doppio di quello del vecchio MSI e di una «immagine» capace di affascinare «trasversalmente» – non è stato capace di costruire «un altro» MSI. Infatti, ribaltando idee, «visioni del mondo», convinzioni, dichiarazioni, prospettive, legami ecc., ha solo distrutto. E si è autodistrutto. Perché, e in nome di che o di chi? Al pari della Terranova, non abbiamo risposte convincenti.

Ma torniamo agli «altri MSI» e ai loro alfieri. Tutti personaggi di valore, ognuno con una sua «idea» della Fiamma. Eccoli: Pino Romualdi, uno dei «padri nobili» del Partito, la cui concezione della destra «era incentrata sulla lezione storica dell’Italia migliore, quella dei comuni, del Rinascimento, delle elaborazioni ardite del Machiavelli», dunque su un coraggioso realismo politico, che non doveva, però, essere confuso con l’opportunismo né servire da stampella alla DC e agli ambienti reazionari e conservatori; Ernesto Massi, prestigioso cattedratico di Geopolitica alla Sapienza di Roma, secondo il quale il MSI doveva parlare la lingua della sinistra nazionale, interpretare le istanze dei lavoratori, battersi contro il capitalismo e la destra economica; Ernesto De Marzio che, insieme a un folto gruppo di parlamentari della Fiamma, darà vita nella seconda metà degli anni Settanta a Democrazia Nazionale, negli auspici (presto vanificati) un partito post-missino che collaborasse con le forze moderate e anticomuniste; Pino Rauti che arricchì il variegato «immaginario» del Partito, coniugando la lezione tradizionalista di Julius Evola con prospettive «antisistema», capaci di «sfondare a sinistra»; Marco Tarchi che animò una «fronda» di giovani, spregiudicate intelligenze, alla ricerca di nuove sintesi, tra i colori e gli umori dei Campi Hobbit, le contaminazioni «al di là della destra e della sinistra», gli appelli contro il «pensiero unico», l’imperialismo yankee, la mondializzazione; Beppe Niccolai che si ispirava all’«interventismo culturale» del fascismo di sinistra e di Berto Ricci e aveva in mente una rilettura politica del ’900, capace di superare la storica antitesi tra socialismo e fascismo nel nome della sovranità nazionale e della giustizia sociale; Domenico Mennitti che, deluso da un MSI incapace di uscire tanto dall’almirantismo quanto dal velleitarismo «rivoluzionario», animerà la battaglie culturali della prima stagione di Forza Italia con vivace piglio anticonformista.

Questo «l’altro MSI» che la Terranova ricostruisce con limpidezza e obiettività. È stata una «militante», ma evita il coinvolgimento emotivo. E tuttavia il suo archivio della memoria vale come appello a una eredità da non disperdere.

Mario Bernardi Guardi